SORDI E MONICELLI: "UN BORGHESE PICCOLO PICCOLO" - DAL LIBRO AL FILM


Alberto Sordi e Shelley Winters in "Un borghese piccolo piccolo" (1977)


RICORDANDO ALBERTO SORDI 

"Un borghese piccolo piccolo" è tratto dal romanzo omonimo di Vincenzo Cerami (1940-2013), pubblicato nel 1976.

Quest'anno ricorre il centesimo anniversario della nascita di Alberto Sordi, "Un borghese piccolo piccolo" è una delle sue interpretazioni più intense. Mario Monicelli dirige una storia tragica: Cerami racconta una vicenda cruda e agghiacciante, con uno stile asciutto che si lascia divorare, pagina dopo pagina, in poche ore. 

Italo Calvino, recensendo il libro di Cerami, scriveva: 

"Dalla prima pagina il romanzo di Cerami ti prende obbligandoti a fissare uno sguardo spietato su un campione di società italiana quanto mai rappresentativo: il mondo di un impiegato di ministero, che passa la vita a mandare avanti pratiche di pensione attendendo di andare in pensione lui stesso e di portare suo figlio a occupare un posto nello stesso ministero, a un grado superiore al suo. Una storia di impiegati ce la aspetteremmo grigia e povera di fatti e prevedibilmente caricaturale; invece qui di fatti ne succedono parecchi e dei più romanzeschi: da una incongrua cerimonia di iniziazione massonica a una cruenta irruzione nella cronaca nera quotidiana, a una allucinata, truce vendetta".



Ed ecco, come nel libro, ci viene presentata una giornata tipo dell'impiegato Giovanni Vivaldi (Alberto Sordi), questa la sua routine mattutina, in una città inferocita e indifferente: 

“La ottoecinquanta di Giovanni era parcheggiata di taglio sul marciapiede, davanti a Upim. Alle otto e mezzo Giovanni doveva essere in ufficio. Il Ministero non era lontano dalla stazione Termini e siccome abitava in fondo al Tuscolano arrivava fino a San Giovanni, di lì faceva piazza Vittorio, costeggiava tutta la stazione, dalle Laziali a Termini e infine dopo piazza Esedra si trovava davanti al Ministero. Quella mattina non fu per Giovanni come tutte le altre mattine. In genere appena entrava in macchina cominciava a bestemmiare e finiva le imprecazioni soltanto dopo che aveva varcato la soglia del Ministero. Sbraitava contro il traffico, contro i pedoni; premeva sul clacson con furia, distribuiva insulti violenti a tutti quelli che pensava volessero intralciargli la strada; se la prendeva col Comune, con l’Anas, col Governo, con l’Italia, con tutti insomma. Ma quella mattina se ne stette silenzioso e fece il percorso ordinatamente, senza suonare a destra e a manca, senza urlare, rispettando la segnaletica orizzontale e verticale. Naturalmente gli altri automobilisti infierirono contro di lui, urlandogli, con facce deformi da scimpanzè, gli oltraggiosi aggettivi del breve ma esauriente vocabolario delle otto e mezzo. Giovanni, cieco sordo e muto, dentro la sua piccola capanna di metallo, non si accorgeva di nulla, non esisteva. Gli sfrecciavano ai fianchi a tutta velocità decine e decine di utilitarie portate da giovanottelli dall'aria delinquente che non esitavano a salire con le macchine sui marciapiedi, a imboccare le carreggiate destinate ai tram e a correre all'impazzata con i clacson a voce spiegata, come se trasportassero feriti all'ospedale di San Giovanni”.

L'interpretazione di Sordi è indelebile. 

La sceneggiatura la scrissero Sergio Amidei e Monicelli. Amidei, uno dei grandi nomi del nostro cinema, collaborò alla stesura delle sceneggiature di "Roma città aperta", "Paisà", "Sciuscià". 

©micolgraziano



 

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