"MISS VIOLENCE", STORIE DELL'ORRORE, DIETRO PORTE CHIUSE
Il cinema di Alexandros Avranas tra Michael Haneke e la tragedia greca
Quando guardiamo un horror ci aspettiamo sangue, mostri, pagliacci malvagi, belve feroci, creature sinistre, vampiri, fantasmi, bambole assassine ma qui è diverso, perché non veniamo sfiorati dal sospetto, né segnali ci mettono in allarme, no, tutto scorre normale, una bella famigliola felice festeggia, tra pasticcini e trombette, il compleanno di una bambina di undici anni. La musica va e così le foto ricordo. Anche un lieto evento: una donna che annuncia alla madre: sono incinta. Premuroso, e addirittura rassicurante, ci sembra il malvagio di turno: un nonno dall'aria impeccabile, uomo della borghesia greca, un nonno/padre di una cosiddetta famiglia perbene che nasconde l'orrore dietro le porte. Ecco perché "Miss Violence" stordisce. Quanto sudiciume sotto i tappeti. I dettagli dell'indicibile si svelano con calma, nel silenzio di porte che si aprono e si chiudono, nei lividi sul collo delle donne, nei bambini costretti, in punizione, a contare alberi da un puzzle, negli amplessi raccapriccianti di orchi abominevoli, negli sguardi complici della depravazione. In "Miss Violence", come in una tragedia greca, si consumano violenze, omicidi, incesti. Al di fuori - fuori da quelle porte, da quelle finestre, dove una undicenne si lancia con un sorriso sulle labbra - nessuno immagina. Né vorrebbe approfondire. La gente non conosce il segreto di questa grande famiglia che ha un nonno/padre e padrone, una nonna che asciuga coltelli con occhi obliqui, una bambina che mangia il gelato e danza per uno sconosciuto, ignara della tragedia che sta per compiersi.
©micolgraziano
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