"Tre Piani". Un palazzo. Tre storie. Tre famiglie. Siamo a Roma, in un quartiere ricco. Vite (in apparenza) perfette che celano segreti inconfessabili. Una notte, un ventenne, ubriaco al volante, investe una donna e la uccide. Il ragazzo è figlio di due giudici. Il giovane non vuole finire dietro le sbarre e chiede ai genitori di inventarsi qualche imbroglio per tirarlo fuori dai guai. Il padre si rifiuta; rompe con lui definitivamente. E allora il figlio prima gli lancia addosso una sedia dopo lo piglia a calci. Nello stabile c'è una sposina, con una figlia neonata. Il marito è sempre all'estero, per lavoro. Lei non sta bene. Ha le allucinazioni. Sta per andare fuori di testa. Anche sua madre ha problemi e vive in un ospedale psichiatrico. C'è poi una coppia con una ragazzina di pochi anni. La bambina va alle elementari. Loro non hanno una tata. Presi da mille impegni (ufficio, palestra) lasciano la bimbetta dai vicini pensionati. Ma di queste persone non si fidano granché. Soprattutto il padre della ragazzina ché non vede di buon occhio i baci sulla guancia che l'anziano (malato di Alzheimer) dà alla piccola. Tra le due famiglie si scatena una guerra all'ultimo sangue.
"Tre piani" racconta storie tetre che spiazzano. I protagonisti sono agiati, ricoprono posizioni prestigiose. Tuttavia il loro privato è un disastro. Hanno pochi rapporti con gli altri. Sono chiusi in un angolo di città, silenzioso e surreale. Un film che vuol essere un invito a dialogare, ad uscire dalle bolle di vetro. Il mondo descritto contiene visioni scure, manie; appetiti, solitudine più nera. Una solitudine che porta una madre a scappare non si sa dove. O a vedere, come in un horror, uccelli inquietanti nella stanza. La narrazione prosegue asciutta. Certo è che le tre storie stordiscono e restano nella memoria a lungo. Il film è tratto dal libro omonimo dello scrittore Eshkol Nevo, pubblicato da 'Neri Pozza'.
©micolgraziano
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