"Lenny" di Bob Fosse (1974)


Dustin Hoffman

LENNY, IL COMICO DEI TABÙ

Diretto da Bob Fosse, il film ebbe sei nomination agli Oscar, tra cui miglior attore a Dustin Hoffman (monumentale) e miglior attrice a Valerie Perrine (davvero strepitosa e premiata a Cannes per questo ruolo). “Lenny” racconta la carriera e gli innumerevoli problemi con la censura del celebre comico americano Lenny Bruce (1925 - 1966) oggi simbolo delle battaglie per la libertà di espressione. La sceneggiatura è tratta dall'omonimo testo teatrale, che debuttò a Broadway nel '71  scritto da Julian Barry, autore anche dell'adattamento cinematografico. (A vedere lo spettacolo a Broadway andò anche la diva del muto Gloria Swanson e confessò in alcune interviste di essere uscita dalla sala prima della fine, perché trovò lo show rozzo e di cattivo gusto. Ad ogni modo, la pièce fu un successo e Cliff Gorman, l'attore che interpretava Lenny Bruce, vinse un Tony Award). 


La comicità di Lenny Bruce, i suoi monologhi satirici, scandalizzarono l'America, i suoi show erano sempre tenuti d'occhio dalla polizia; nel 1964 venne condannato per oscenità. Bruce, umorismo irriverente e dissacrante, ruppe le barriere: della politica, del sesso, della religione, della società. I suoi monologhi furono uno choc. Anticonformista, sempre fuori dal coro, contro il perbenismo di facciata, si spinse dove nessun altro aveva osato fino ad allora, e aprì la strada ai comici del futuro. Stanava i vizi, ironizzava sui tabù. Lenny Bruce, penna e voce tagliente, si raccontò in un'autobiografia: "Come parlare sporco e influenzare la gente" (Bompiani).


Dustin Hoffman

Un gruppo di artisti firmò una petizione in suo favore, tra questi: Woody Allen, Bob Dylan (nel 1981 gli dedicò una canzone contenuta nell'album "Shot of Love"), Elizabeth Taylor, il poeta Allen Ginsberg, lo scrittore Norman Mailer. Ma Bruce venne condannato. Nel 2003 gli fu concessa la grazia postuma.

Lenny Bruce morì a soli 40 anni nel 1966 per overdose. E nel film il corpo senza vita che si vede non è di Dustin Hoffman ma del vero Lenny Bruce.

Bob Fosse costruisce il film come un documentario: Lenny è già morto e ci viene raccontato da chi lo ha conosciuto: la moglie Honey (Valerie Perrine), la madre Sally (Jan Miner), il manager Artie (Stanley Beck). Una serie di flashback ripercorrono la carriera dagli inizi fino all’ascesa tra le polemiche, la dipendenza dalla droga e i continui arresti con l’accusa di fare spettacoli immorali e sconci. Si vede un Lenny privato e uno pubblico che recita monologhi spesso autobiografici su sesso, matrimonio, tradimenti, ipocrisie. Gli avvocati di Bruce, davanti ai giudici, paragonarono il linguaggio dei suoi testi a quelli del commediografo greco Aristofane e dello scrittore Jonathan Swift. Ma senza risultato. Scena clou del film è quella di Lenny che in uno degli ultimi show, vestito con un impermeabile e un solo calzino ai piedi, confessa tutto il suo dolore. Poi all'improvviso, tra lo stupore del pubblico, tossendo, si ritira dietro le quinte; interrompe così lo spettacolo e cala il silenzio.

©micolgraziano

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