"Tre di troppo" (2023) di Fabio De Luigi - Buone intenzioni ma ritmo fiacco


Fabio De Luigi

TRE DI TROPPO 

Seconda regia di Fabio De Luigi (nel 2016 aveva diretto "Tiramisù"). "Tre di troppo" è una commedia surreale, fantasy. Ci sono delle idee interessanti ma la scrittura è poco incisiva. L'effetto soporifero. Un film che guarda al cinema americano senza però raggiungere il risultato sperato.

Marco (Fabio De Luigi) e Giulia (Virginia Raffaele) sono sposati da parecchi anni. Matrimonio felice. Intesa perfetta e niente pargoli. Stanno bene così. Il loro motto è: godiamoci la vita. Di pannolini, pappette, notti insonni eccetera non vogliono saperne. Si ritengono migliori (più belli, più furbi, più ganzi) dei loro amici con prole. Marco e Giulia guardano con compassione (e una punta di fastidio) le mamme e i papà, perché: sottotono, grassi e con le occhiaie. Marco e Giulia, invece, sono belli freschi, pimpanti e la sera danno spettacolo - tipo Tony Manero - sulla pista da ballo. Un'esistenza al massimo unita a una disperata voglia di fermare il tempo. 

Fabio De Luigi
Però, attenzione. Mai dire mai. Un bel giorno, come per magia, Marco e Giulia si svegliano completamente trasformati. Senza trucco lei, senza la folta curatissima barba lui. Pancetta, niente muscoli, fisico giù e soprattutto: tre bambini al seguito. Una casa che non è più la stessa, disordinata, giocattoli sparsi, disegni sul frigo e tre birbe da accudire. Com'è potuto accadere? Giulia e Marco non lo sanno. Dovranno adeguarsi e assecondare questa "tragedia" piombata tra capo e collo. 

Virginia Raffaele
“Tre di troppo” è una commedia surreale, all’americana. Ma delle commedie brillanti americane, anche spesso irriverenti quando si parla di madri e padri perfetti, non possiede la forza. Il ritmo è lento e il risultato soporifero. Ad ogni modo, le intenzioni restano buone e il garbo presente. Però scrivere con eleganza non significa azzerare il divertimento. E lo dimostrano gioielli statunitensi del passato, pellicole che hanno fatto storia. Pensiamo a “La strana coppia” (1968) di Gene Saks o “A qualcuno piace caldo” (1959) di Billy Wilder.

©micolgraziano

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