"Quattro matrimoni e un funerale" (1994) di Mike Newell


Hugh Grant


QUATTRO MATRIMONI E UN FUNERALE
innamorarsi...ai matrimoni!

"Quattro matrimoni e un funerale", tra le migliori commedie di sempre, quando uscì, nel 1994, raccolse un grande successo e incassò cifre record, arrivando in testa al botteghino USA, impresa che riuscì a un’altra celebre british comedy, “Un pesce di nome Wanda” (1988). “Quattro matrimoni e un funerale”, acclamato dalla critica, ottenne due nomination agli Oscar, e altri premi prestigiosi. Richard Curtis, autore della sceneggiatura, e Hugh Grant, attore protagonista, da allora tra i sex symbol più desiderati degli anni Novanta, si rivelarono un duo artistico infallibile: la penna di Curtis si amalgamava col garbo di Grant, perfetto nella parte del timido implacabile seduttore dal fascino spettinato. Dopo “Quattro matrimoni e un funerale” fu la volta di altre celebri pellicole: “Notting Hill”(1999) e “Love Actually” (2003).

Hugh Grant

Curtis ama lavorare con persone che lo conoscono bene e le sue storie sono sempre a lungo meditate pur possedendo la freschezza dell’illuminazione repentina. Il soggetto di “Quattro matrimoni e un funerale” gli venne in mente sfogliando delle vecchie agende: si rese conto che in dieci anni aveva preso parte a oltre settanta matrimoni, proprio come Charles (Hugh Grant) il protagonista della storia, che salta da una cerimonia all’altra, insieme agli amici, alle ex, e alla coinquilina. Il rito si ripete identico: Charles arriva in chiesa trafelato, con i vestiti in mano, all'ultimo istante, dopo corse sfrenate a piedi o in auto, al grido di "Fuck, fuck!". Accanto a Hugh Grant, la bella Andie MacDowell, attrice e modella americana. Tra le scene memorabili: il matrimonio celebrato dall'esilarante Padre Gerald, che ha il volto del grande Rowan Atkinson (Atkinson e Richard Curtis hanno lavorato insieme anche per creare il mitico personaggio di Mr.Bean), e l'orazione funebre con i versi del poeta britannico Wystan Hugh Auden tratti da "Funeral Blues" del 1938. Insomma: un must che non può mancare nella cineteca.  

©micolgraziano

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