“La pianista” di Michael Haneke


La Pianista

ERIKA CHE AVEVA PAURA D'AMARE


“La pianista”,  film diretto dall'austriaco Michael Haneke, è tratto dal romanzo omonimo, pubblicato nel 1983, della scrittrice premio Nobel Elfriede Jelinek. È una delle pellicole più amate dai cinefili, ma è anche un film estremo e disturbante, duro e scioccante. Un dramma borghese a tinte fosche. A Cannes, ha ricevuto il premio speciale della giuria. Premiata inoltre la protagonista Isabelle Huppert: la performance dell'attrice francese (che ha anche eseguito i brani al piano) è passata alla storia, ed è considerata una delle migliori della prima decade del Duemila. Erika, la pianista, è un personaggio fastidioso, sconvolgente: impossibile da dimenticare. 



Erika (Isabelle Huppert), quarant’anni, suona il piano e insegna al conservatorio. Abita con la madre (Annie Girardot), anziana possessiva e gelosa. Non ha spazio per sé, Erika. Anche la sua stanza è stretta stretta e squallida. L'appartamento angusto, soffocante (nel libro è definito "un porcile"). Una casa modesta, anche se entrambe sognano un giorno, risparmiando, di comprarne una nuova e bella. La madre non fa nulla, si nutre di televisione, e dei respiri di Erika. Una sera, Erika, torna con un vestito nuovo, ne compra spesso e di costosi, e la madre le urla contro perché detesta queste frivolezze. E giù grida e schiaffi. Erika le strappa i capelli eppure finisce che si abbracciano tra mille scuse. Anche di notte, nel letto, a volte, Erika la stringe, la bacia, per poi piangere disperatamente.

La pianista

Il rapporto madre-figlia qui ha un qualcosa di morboso e torbido, aspro e dolce al contempo. È una gabbia orribile in cui Erika, però, sembra muoversi comodamente. Si compiace di ciò che è acre, tagliente, appuntito, lacerante. Quel dolore che, segretamente, chiusa in bagno, si procura, senza battere ciglio. Sì, perché Erika è una statua di sale: algida, severa, vendicativa, punisce chi mostra qualche talento: agli allievi infila vetri nei cappotti. Erika vuole la musica tutta per sé. È una donna borghese, quel che si direbbe un'intellettuale, una signora distinta. Chi dubita di lei? Eppure, quando cala il sole, s'infila in squallidi tuguri a luci rosse, osserva la passione per lei inafferrabile, si acquatta accanto alle auto dove le coppie consumano il piacere, sbircia di nascosto, per poi goderne con un ghigno. E quando, un allievo (l'ottimo Benoît Magimel, premiato a Cannes per l'interpretazione) s'innamorerà di lei, Erika verrà allo scoperto e finirà in un vortice.

Michael Haneke attraverso primissimi piani, la camera fissa che scruta il volto (e la Huppert è formidabile), ci racconta il mondo di Erika, che è solitudine, violenza, paura, odio verso se stessa. Tra le scene clou, quella finale, che come un quadro, resta indelebile nella mente: ci sono volute 52 riprese per raggiungere tale perfezione. 

©micolgraziano

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