"Io confesso" di Alfred Hitchcock (1953)

 

Alfred Hitchcock


UN KILLER, UN PRETE, UN INTRIGO D'AMORE
Capolavoro del maestro del brivido

Alfred Hitchcock era un genio e ho sempre amato i suoi film, anche quelli meno conosciuti. Éric Rhomer, per esempio, era un grande fan di “Io confesso” e come dargli torto? Un noir magnifico recitato da due divi che divorano lo schermo: Montgomery Clift bello come il sole e perfetto nella parte (eppure le riprese non furono proprio una passeggiata, Clift spesso era ubriaco; inoltre voleva sempre la sua insegnante di recitazione accanto); Anne Baxter (guardatela in “Eva contro Eva”) luminosa, elegantissima, nelle accattivanti scene mondane. E poi il tedesco Otto Eduard Hasse, spaventoso nei panni di un killer dallo sguardo folle. All’epoca “Io confesso” non ebbe successo, fu accolto in maniera tiepida; forse per la trama scandalosa: un prete accusato di omicidio (anche se è innocente e noi spettatori lo sappiamo fin dall'inizio perché la confessione del colpevole avviene nei primi istanti e da lì si snodano gli eventi). Un prete, dicevamo, che è anche ex amante di una donna sposata con un pezzo grosso. O forse il film non decollò perché troppo cupo e privo di quell'ironia che era tratto distintivo del maestro del brivido. Hitchcock aveva un gran senso dell'umorismo (molto british) come evidenziano le sue frasi pungenti sulla vita e sul cinema. Per esempio: fai soffrire il pubblico il più possibile. E ci riesce bene a spaventarci perché nei thriller fa leva sulle fobie più segrete, pensiamo a due opere emblematiche: "Gli uccelli" "Marnie".  “Io confesso", insomma, è un noir che tiene incollati alla poltrona, novanta minuti di perfezione. Il cuore martella per l'inquadratura di un volto o per un tonfo improvviso che rompe il silenzio. Indimenticabile la macabra scena finale dove l'assassino, ormai fuori di sé, si trova, rivoltella in pugno, in un ampio salone vuoto e raggelante. 

©micolgraziano

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