"Casa Howard" di James Ivory

Emma Thompson


Tra le pellicole indimenticabili degli anni Novanta, dobbiamo includere sicuramente “Casa Howard”, dall'omonimo romanzo di Forster, pubblicato nel 1910. Era il 1992 quando uscì il film di James Ivory. Ivory, regista e produttore, si era già cimentato con le opere di Edward Morgan Forster. E dunque, prima di "Casa Howard", nel 1985, Ivory, diresse “Camera con vista” e nel 1987 “Maurice”, dal romanzo postumo di Forster (pubblicato nel 1971, un anno dopo la sua morte), che racconta una storia d’amore tra due uomini nell'Inghilterra d'inizio Novecento. "Casa Howard”, il film, venne accolto molto bene, si aggiudicò nove Nomination agli Oscar e ne vinse tre: miglior attrice protagonista a Emma Thompson, miglior sceneggiatura non originale a Ruth Prawer Jhabvala e miglior scenografia a Luciana Arrighi. Nel cast anche: Vanessa Redgrave, Anthony Hopkins (che veniva dal grande successo de “Il silenzio degli innocenti”), Helena Bonham Carter (che aveva già recitato con Ivory in “Camera con vista”). 

Casa Howard
La “Casa” che dà il titolo all’opera, è la dimora di campagna dei facoltosi Wilcox, un luogo del cuore, per l’anziana Ruth, e "roba” da spartire per gli altri membri della famiglia, attaccati alle "cose", con le unghie e con i denti. Casa Howard fa gola a tutti: coperta da una vite canadese, con un prato e un grande giardino ricco di olmi, querce, peri e meli. La trama si snoda attorno a tre famiglie che vengono a contatto per caso: un viaggio in Germania, un ombrello rubato in un giorno di pioggia; incontri che lasceranno il segno e sfoceranno anche in tragedia. Protagonisti di "Casa Howard" sono gli Schlegel, Helen, Meg e Tibby, inglesi di origine tedesca, appartenenti alla borghesia colta londinese; i cinici e gretti Wilcox, ricchissimi, con una enorme fortuna nelle colonie; i Bast, Leonard e Jacky, vulnerabili, poveri e disperati. "Only connect”, l'epigrafe che apre il libro, è la radice quadrata di tutto: un invito ad abbattere le barriere; appello all’uguaglianza. Perché, come ebbe a dire, Forster: "I rapporti personali saranno sempre la cosa più importante, e non questa vita esteriore fatta di rabbia e telegrammi".

©micolgraziano


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