"La fiera delle illusioni - Nightmare Alley" (2021) di Guillermo del Toro

 

Cate Blanchett

“La fiera delle illusioni - Nightmare Alley”: una storia torbida, racconto a tinte fosche con messaggio morale: mai spingersi troppo oltre. Guai a credersi onnipotenti. 

Con questo film il premio Oscar Guillermo Del Toro (“La forma dell’acqua”) esplora gli angoli oscuri dell'animo umano attraverso il noir, rendendo omaggio alla Hollywood dell'età dell'oro. La sceneggiatura è tratta dal romanzo omonimo di William Lindsay Gresham (1909 - 1962), opera che già era stata portata al cinema negli anni Quaranta (precisamente il ‘47) e a vestire i panni del protagonista era Tyrone Power

Bradley Cooper
Stavolta il complesso ruolo principale è affidato a Bradley Cooperindimenticabile nell'ultima spietata sequenza in cui il suo volto è quasi 
irriconoscibile (curiosità: la scena è stata girata in un solo ciak, buona la prima). 

Bradley Cooper interpreta quindi l'ambiguo Stan, avventuriero dal passato grigio (misteriosa è al solito la trama dei noir). Lo vediamo nell'incipit dare alle fiamme una casa diroccata in campagna, in mezzo al nulla, e avviarsi a piedi verso un futuro tutto da costruire. 

Metaforicamente si può dire: Stan rinasce dalle ceneri. E quale posto migliore per reinventarsi se non un luna park? Lì conosce una onirica e variegata combriccola di truffaldini: cartomanti, mentalisti, imbonitori, abili affabulatori, scaltri manipolatori senza pietà che mettono in gabbia disperati facendoli diventare "bestie", attrazioni acchiappa pubblico: la folla accorre (e paga) per guardare tipi ringhiosi sporchi e semi nudi che dietro le sbarre divorano ferocemente polli vivi (è in queste scene disturbanti che affiora il Del Toro maestro dell'horror). 

Bradley Cooper
Stan, in quell'ambiente che ha dell'irreale, (splendido il lavoro scenografico) assorbe tutto ciò che può, ruba con gli occhi gesti, frasi, impara i trucchi del mestiere e un bel giorno gira i tacchi insieme alla ragazza di cui si è innamorato, la tenera, ingenua Molly (Rooney Mara), lontana dal cinismo di Stan. Stan è scaltro, si è fatto da sé, e in quattro e quattr'otto dalle strade fangose passa alle suite extra lusso: si esibisce insieme a Molly nei nightclub più in voga, spacciandosi per un eletto capace di leggere le menti, prevedere il futuro, carpire segnali del divino, vedere oltre. Stan è in sostanza un imbroglione eppure osa l'indicibile senza curarsi delle conseguenze. I suoi numeri sono preparati minuziosamente con l'aiuto della consenziente Molly che assecondandolo (per amore) contribuisce a fare di Stan un personaggio coccolato dai potenti. 

Cate Blanchett
Una sera Stan incontra una psicanalista, tale Lilith (una Cate Blanchett più glaciale che mai). Lilith è doppia proprio come Stan. Lilith è la tipica donna vampiro, che inghiotte e trascina nei labirinti più terribili. Stan e Lilith stringono un patto: Stan si accredita come medium presso l'alta società (soprattutto i pazienti di Lilith) risultando credibile grazie ai segreti che lei gli rivela. Un gioco pericoloso e mortifero che porterà Stan, arrivista fuori controllo, alla totale distruzione. 

Il film è una gioia per gli occhi: splendida fotografia, cast stellare (ci sono anche Toni Collette, Willem DafoeDavid Strathairn), insomma: cinematograficamente perfetto. Eppure, nonostante l'eleganza formale, sembra mancare qualcosa. I personaggi restano in superficie, appaiono poco variegati, forse proprio perché non mostrano un briciolo di cuore, come l'algida marmorea Lilith che anche quando piange non suscita pietà.

PS. Vedere, di nuovo insieme, Cate Blanchett e Rooney Mara, fa un certo effetto e non può non riportare alla mente il meraviglioso "Carol", in cui le due attrici davano vita a personaggi di straordinaria potenza e di magica alchimia. Ma in questo film di Del Toro, Blanchett e Mara non sono mai in scena nello stesso momento, se non per pochissimi istanti, in cui si guardano a stento. 

©micolgraziano 

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