IL COLIBRÌ
Marco, comunque, non l'ha mai amata. Il cuore di lui appartiene a Luisa (Bérénice Bejo), una vicina di casa, che incontrava da ragazzo durante le vacanze al mare. Restano legati anche da grandi. Periodicamente, s'incontrano a Parigi. Fanno un patto: niente sesso. Un amore casto che procede tale fino alla fine. La figlia di Marco sembra risentire del burrascoso clima familiare. È una bambina psicologicamente fragile: crede di avere un filo attaccato dietro la schiena.
I fatti narrati non seguono una linearità. Gli episodi scorrono velocemente, troppo velocemente (due ore non bastano a raccontare una vita così lunga); per frammenti. Tutto è spostato, mescolato, spezzettato, avanti e indietro nel tempo. Faticoso seguire la trama. I flashback non aiutano lo spettatore ad entrare in sintonia con storia e personaggi. A soffrire con essi. Non c'è il tempo. Favino è puntuale e credibile nel ruolo di Marco tuttavia la sua bella interpretazione non basta a sollevare un film ambiziosissimo che non centra l'obiettivo.
Sotto certi aspetti "Il colibrì" ricorda un’altra pellicola interpretata da Favino, “Promises” . Anche lì, trovavamo un Favino 1) alle prese con una relazione platonica e 2) molto invecchiato sul finale (il trucco esagerato toglie naturalezza al personaggio). “Il colibrì” somiglia nella struttura al francese “Stringimi forte” che narra perdite e drammi attraverso schegge temporali, una scelta stilistica penalizzante. "Il colibrì" non è il miglior film di Francesca Archibugi. Restano insuperabili, a mio avviso, “Mignon è partita” e “Il grande cocomero”.
©micolgraziano
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